YESTERDAY

di icecamp

Non ci credo! Cielo azzurro, nuvolette bianche striate che sembrano fare il manto di una tigre, comignoli fumanti e raggi di sole.
Milano, ieri mattina.
La sveglia è suonata tre ore dopo, ché da un po’ di tempo un paio di giorni a settimana me li lasciano per recuperare le forze, e aprendo gli occhi sono rimasto allibito da una cosa che mi ha colpito guardando fuori dalla finestra. La luce, il colore. Non se ne vedeva neanche l’ombra da mesi, ormai, penso dal giorno del compleanno della radio, a dicembre, ma quello era un bel giorno soprattutto per un altro motivo.
Doccia veloce, vestito, lavato i denti e deciso di fare colazione al bar, perché oggi mi va così. Scendo veloce per le scale e il tipo sta passando lo straccio, mi freno per evitare di scivolare e di fare la figuraccia oltre che farmi un livido da qualche parte.
Esco di casa, borsa in spalla e sciarpa sul naso, oggi del cappello non ce n’è bisogno, via coi capelli al vento, almeno quei pochi che mi rimangono. Tiro su lo sguardo all’angolo della strada e sorrido, è uno scorcio da foto: una prospettiva accidentale dal basso, di quelle che per disegnarle devi posizionare la linea d’orizzonte bassissima, vicino alla linea di terra. Prendo il telefono, lo fisso all’angolo del mio sguardo e schiaccio il tastino per scattare. Mi accorgo solo nell’anteprima della foto dei cavi dell’alta tensione che entrano in centro campo. Quasi mi ero dimenticato della ragnatela che abbiamo sempre sopra la testa, che corre per tutte le strade della città. Mi soffermo a guardare i palazzi che si nascondono uno dietro l’altro e creano un alternarsi di volumi come nei giochi di bambini.
Tiro giù di qualche centimetro la zip del giubbotto verde scuro perché il sole che batte contro fa caldo, afferro a due mani i jeans, per i passanti, li tiro su e stringo la cintura perché la taglia in più me li fa scivolare e fortuna che un paio di chili li ho persi anche a sto giro. Mi butto in strada, verso la metropolitana. Respiro a fondo e mi viene in mente la frase di un ritornello di Max, di tanti anni fa.
Basta un giorno così, a cancellare centoventi giorni stronzi…

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