EN LA ISLA
Casa Le Moult. Eccomi a Formentera per finire questo romanzo. […]
Ascolto il rumore del mare. Rallento finalmente. La velocità impedisce di essere se stessi. Qui le giornate hanno una durata leggibile nel cielo. La mia vita parigina non ha cielo. Ideare uno slogan, faxare un articolo, rispondere al telefono, veloce, scappare di riunione in riunione, mangiare un boccone di corsa, in fretta, in fretta, filare in scooter per arrivare in ritardo a un cocktail. La mia esistenza assurda esigeva una frenata. Concentrarsi. Non fare che una cosa alla volta. Accarezzare la bellezza del silenzio. Godersi la lentezza. Ascoltare il profumo dei colori. Tutte cose che il mondo vuole proibirci. […]
Formentera, piccola isola… Satellite di Ibiza nella costellazione delle Baleari. Formentera è la Corsica senza le bombe, Ibiza senza i locali, Moustique senza Mick Jagger, Capri senza Hervé Vilard, i Paesi Bassi senza la pioggia.
Sole bianco. Paseggiata in Vespa. Calore e polvere. Vegetazione secca. Mare turchese. Profumo di pini. Canto dei grilli. Lucertole impaurite. Pecore che fanno bèèè.
“Bè, cosa?” rispondo io.
Sole rosso. Gambas a la plancia. Vamos a la playa. Stelle di cielo. Gin con limón. Cercavo la quiete, è qui, dove fa troppo caldo per scrivere frasi lunghe. Si può riposare in pace anche da vivi. Il mare è colmo d’acqua. Il cielo si muove in continuazione. Le stelle filano. Respirare aria dovrebbe essere sempre un’occupazione a tempo pieno.
Frédéric Beigbeder
Strade sulla terra polverosa che non conosco in cui potei perdermi solo a pensarci. Strade nel cielo che non me ne vengono nemmeno le parole ma è come se le conoscessi da una vita al solo alzare lo sguardo per cercare di capire dove vanno a finire.
La isla mi dà energie così come poi me le succhia. Tutto ciò che mi regala se lo riporta via, può sembrare una triste condizione ma in verità è una meraviglia senza impegno: un mix continuo di emozioni che viene digerito non appena ingoiato, senza passare per lo stomaco. Sono queste le sensazioni che mi lasciano senza fiato e allo stesso tempo mi rilassano totalmente.
Dire non andiamo più via di qua sarebbe ipocrita e patetico ché, come tutte le abitudini poi, si finisce per odiarle, le cose. E io invece ho un sano bisogno di amare, adesso. Forse di amare più me che un contesto grande come la isla. Ma nello stesso tempo in cui lo nego io lo so già di esserne perdutamente innamorato, di questo posto, di questi panorami e scorci di terra e cielo diversi dal resto del mondo, che mi ricordano quasi casa ma hanno allo stesso tempo un sapore diverso. E mentre cerco di dire di no, che ora andiamo avanti senza guardarci indietro, potrei benissimo confessare di esserci rimasto pesantemente sotto, a questa isla, in un modo strano, come quando ci si innamora dopo un rapporto occasionale. Sconosciuta è la isla, bella e seducente, una delle donne più affascinanti che abbia mai scoperto e violato. Sorprendenti i luoghi, i personaggi che la popolano e gli amici con cui divoro queste briciole sparse sulla tavola come fossimo affamati di vita.
Me ne sto seduto fuori, in mezzo alla strada, sotto un ombrellone, a due tavolini accostati che fanno un tavolino per quattro. Occupo la mia metà parte ma nessuna delle ragazze che servono in sala, anche quando il bar si riempie di affamati per la colazione, mi chiede di spostarmi. Loro passano, mi guardano, aspettano che io ricambi, mi sorridono e passano oltre. «Hola, ¿qué tal? – Buongiorno, volete ordinare?» chiedono in giro. A volte passandomi dietro mi sfiorano poggiandomi le mani sulle spalle. Mi piace essere stuzzicato e accarezzato da mani sconosciute, e sono certo che loro questo non lo sanno ancora.
Questa mattina sono uscito presto di casa, con due ore di sonno sulle spalle, ho chiuso la valigia e lasciata insieme alle altre pronte per partire. Ho abbandonato tutti mentre dormivano, preso il motorino e sfrecciato verso Sant Francesc per fare l’ultima colazione dal Losio. È naturale per me avere un posto in ogni parte del mondo in cui mi ritrovo, un posto in cui mi senta libero, che mi faccia sentire davvero me stesso. A Formentera ne ho trovati due: uno totalmente selvaggio, al faro di Cap de Barbaria a strapiombo sul mare, e uno più conviviale, immerso nel paseo del capoluogo della isla: il bar di questo personaggio singolare che ai tempi fu manager di Lorenzo (Jovanotti ndr) ma fu anche tante altre cose e tante altre persone. Se sei sulla isla non puoi non innamorarti di questo luogo e non puoi non innamorarti del Losio che gira tra i tavoli e sta dietro al bancone.
Leggo, mangio yogurt, toast e divoro frutta e centrifughe. Distendo le gambe sotto il tavolino alla francese e prendo appunti guardandomi attorno. La strada è totalmente bianca, sia per terra che sulle pareti degli edifici bassi, il sole che è quasi in centro riflette ovunque e acceca come fossero dieci fari da posa accesi in studio. Godo del venticello che arriva sul collo e che non mi fa pensare al fatto che mi stia scottando la pelle, ancora una volta. Silenzio tutto attorno, si sente solo il brusio in varie lingue impastate della gente che mi mangia attorno. Questo posto fa fermare il tempo nella mia mente e anche l’orologio di uno dei due cellulari poggiati sul tavolo, l’altro mi ricorda a un certo punto che devo andare al porto, prendere un traghetto e fare quello che abbandona.
Mi alzo, pago, lascio tutto il resto nel barattolo delle mance, senza guardare nemmeno quanto sia. Il Losio mi fulmina con lo sguardo e mi insulta. «Che cazzo fai? Sei matto? Riprendili subito!». Mentre scoppia a ridere viene ad abbracciarmi e gli dico la solita frase fatta del tipo non facciamo quelli che si perdono di vista.
«Mi sa che ci vediamo in radio da voi, che tanto L, quell’altro, ha già messo una taglia sulla mia testa» mi risponde ironicamente.
Abbraccio i ragazzi, che promettono di venirci a trovare nella città, appena rientrano dal paradiso. Esco fuori con lei, ché ho voglia di un saluto diverso, e non posso non ammettere di aver perso un po’ la testa per quegli occhi e per tutto quanto.
Si siede sul divano, mentre le sto in piedi davanti, questa posizione mi imbarazza tanto quanto mi fa pensare oltre i limiti di quel che sta accadendo. Lei tira fuori la penna e scrive qualcosa che mi piazza in mano. Poi ripone tutto nella tasca del grembiule e mi abbraccia mentre mi bacia, e sorride.
Vado via ché non amo gli addii, cammino per la piazza con la chiesetta bianca facendo ruotare sul dito il portachiavi della radio con la chiave del motorino. Mi tocco le tasche per essere certo di aver preso tutto prima della partenza. Tiro fuori il portafogli e mi fermo a sorridere un secondo, in piedi, con il casco appena allacciato sotto il mento. Di una cosa mi rendo conto e rimango affascinato totalmente, mentre guardo il biglietto piegato insieme allo scontrino tra le dita: le ragazze belle e con gli occhi chiari scrivono ancora il numero di telefono su un fogliettino di carta.