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Tag: nuvola rossa

SANUYE*

Un nome deve poggiarsi sul viso di chi lo porta, come fosse un telo bianco che aderisce sulla pelle senza lasciarne piega.
Un’antica leggenda pellerossa racconta che i nomi dei bambini appena nati cambiavano tutte le notti. Si sa che i bambini appena nati passano le notti svegliandosi e piangendo. Così ogni notte i genitori proponevano un nome allo sciamano. E quella notte, puntualmente, il bambino piangeva e si dimenava. E il nome, scritto su un tocco di corteccia d’albero, veniva gettato nel fuoco ricoperto di polveri miste che coloravano le fiamme e il fumo che saliva al cielo, al cospetto degli antichi. Il nome che infine restava per sempre sul corpo del bambino era quello scelto la notte in cui egli non piangeva più e si addormentava sereno.
Il tocco di legno veniva dunque bruciato a secco, senza polveri, e il fuoco risplendeva dei suoi colori naturali. I suoni sussurrati che compongono il nuovo nome salgono così sotto forma di canto nel fumo nero del falò fino al becco dell’uccello del tuono che domina sulla carcassa degli animali del totem, all’interno del cerchio dove il consiglio si raduna alla sera.
Fu il giorno in cui hai pianto al telefono raccontando di te che alzai la testa ed il cielo era colmo di nubi grigiastre che attentavano sul mare, e fu poche ore dopo quando sorridesti che le nuvole di quella giornata uggiosa si erano arrossate lasciando un sole tiepido trasparire e colorarle di rosso, mentre si tuffava dietro la linea dell’orizzonte.

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*Sanuye: in Miwokan, lingua della tribù Miwok della California, significa “nuvola rossa al tramonto”.

NELLA PARTE SELVAGGIA DEL MONDO

Il canto stridulo degli uccelli tra le fronde mi annuncia che sta per sorgere il sole. Apro gli occhi e allungando le braccia verso le punte degli alberi, quasi come per toccarli, mi alzo in piedi e mi scrollo il terriccio umido della notte dal petto.
Mi avvolgo la stuoia della pelle di cervo attorno alla vita per coprire le nudità lasciate libere nella notte, la lego stretta sotto l’ombelico e mi avvio seguendo il rumore del ruscello.
Corro, attraverso le piante che mi frustano il corpo, al mio passaggio. Corro accompagnato da un branco di lupi che inizia la caccia, affiancandomi, come i delfini danno il buon giorno allo scafo della nave bianca salpata dal porto.
Inseguo i primi raggi di luce che mi puntano in faccia e mi indicano dove il ruscello cade in picchiata di cinquanta piedi sopra il grande torrente fragoroso. Arrivato al dirupo mi lascio cadere nell’aria in un tuffo nell’acqua trasparente sotto di me. Riemergo nella spuma della cascata, mi lavo la faccia e le braccia, mentre i lupi da lontano lanciano i primi ululati. Hanno procurato il cibo per la giornata. In ritardo sui tempi, recupero l’arco e mi inoltro nel bosco.
Punto silenzioso la mia arma verso un daino ingenuo che strappa a dentate i cespugli bassi.
Sento sfiorare la coda della mia freccia sul lobo dell’orecchio, sul mento e subito dopo la vedo passare da parte a parte il collo della bestia. La mia preda. La mia caccia è completa.
Trascino la carcassa ripulita dagli organi in cima alla rupe del consiglio dei saggi e mentre taglio via la pelle e ne cucio un mantello per la notte, ti vedo nascere, mutare forma e morire, nuvola rossa al tramonto. Ogni giorno, in queste ore, ti osservo in silenzio e ti amo in segreto.
Annuso la via nel sentiero verso casa attraverso la bruma bianca della sera che nasconde le foglie, i rami di frusta e i rovi alla vista del cacciatore stanco.
Vedo danzare nel fuoco la scintilla che scoppia dal ceppo ardente che un tempo fu vivo e ora dà vita e calore, bruciando.
La vita è nel cerchio di pietre intorno alle crepe rosse della brace al mattino, dal più piccolo e chiaro sasso di fiume al più grosso e scuro masso della montagna.
Danza nel fuoco la vita dell’uomo rosso, che vive in semplicità nella parte selvaggia del mondo.

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